Dopo l Unità d Italia il Comune Vitulaccio assume l attuale denominazione di Vitulazio (1883)

Dopo l’Unità d’Italia il Comune Vitulaccio assume l’attuale denominazione di Vitulazio (1883)

All’indomani dell’Unità nazionale si pose il problema di modificare la denominazione di molti comuni, al fine di evitare omonimie con altre realtà comunali del periodo preunitario. E così, a puro titolo di esempio, nel 1862 Piedimonte si chiamò Piedimonte d’Alife (oggi Piedimonte Matese); San Germano, che allora faceva parte di Terra di Lavoro, divenne Cassino; e l’altro Piedimonte della provincia, che era appunto vicino a Cassino, divenne Piedimonte San Germano;

Rocchetta, di cui Croce era stata frazione, assunse l’attuale denominazione di Rocchetta e Croce. La scelta del nuovo toponimo era lasciata ai consigli comunali interessati (salva poi l’approvazione governativa), e un caso curioso fu quello di Schiavi, nel mandamento di Formicola, il cui consiglio comunale, appunto per celebrare l’unificazione italiana, chiese ed ottenne di assumere l’attuale denominazione Liberi (offrendo, proprio in tal modo, un paradossale esempio di servilismo verso il nuovo governo).

Le modifiche, particolarmente numerose nei primissimi anni (nella sola Terra di Lavoro, tra il 1861 ed il ’69, interessarono ben 70 comuni), proseguirono anche nel ventennio successivo, e talvolta vennero chieste anche da comuni che non avevano problemi di omonimia.

Tale fu anche il caso di Vitulaccio, che con Regio Decreto del 3 dicembre 1882, a firma di Umberto I, assunse l’attuale denominazione di Vitulazio, con decorrenza 1° gennaio 1883. È tuttavia da precisare che il nome “Vitulaccio” restò per parecchio tempo di uso comune, tanto che ancora agli inizi del Novecento, e talvolta anche in documenti ufficiali, il comune si trova identificato con la sua originaria denominazione. (Cit. R. D. del 3 Dicembre 1882 n. 1458, in ASCe, Collezione di Leggi e Decreti, Napoli, 1882.)

Sezione a cura di Marilia Maio.

L’igiene pubblica a Vitulazio

All’indomani dell’Unità l’Italia, nel suo complesso, si presentava come un paese essenzialmente agricolo e povero. Le condizioni di vita erano tuttavia assai disparate: si andava dalle aree del Mezzogiorno fondamentalmente agricole e arretrate, alle aree più progredite della Lombardia e della Toscana. Le condizioni igieniche, ovviamente, erano le prime a risentire di tale disparità.

Molti, soprattutto al Sud, vivevano in abitazioni malsane e sovraffollate, spesso senza fognatura e senza acqua potabile, con conseguenze disastrose per il proprio stato di salute: frequentissime epidemie decimavano la popolazione. Nel primo ventennio unitario, in tutto il Regno d’Italia, furono inviati ai vari comuni regolamenti di pubblica igiene intesi a prevenire le malattie epidemiche.

Formalmente ciascun comune redigeva il proprio regolamento – salva sempre l’approvazione delle autorità tutorie – , in rapporto alle specificità della situazione locale (ad es. presenza di zone paludose, di allevamenti animali che necessitassero particolari controlli, di insediamenti industriali insalubri); per i Comuni inadempienti era comunque predisposta una serie di regolamenti “standard”, ai quali il consiglio comunale poteva proporre eventuali correttivi in adattamento alle peculiarità del suo territorio. Così, nel 1869, anche Vitulazio ebbe il suo regolamento d’igiene pubblica.

Il testo normativo si articolava in 7 capitoli, che regolamentavano i diversi ambiti del problema. Le abitazioni dovevano «…comunicare con l’esterno in maniera di non esservi difetto d’aria…», e quelle di nuova costruzione dovevano avere «…cessi, e le latrine distaccate dalla cucina, ed i condotti per le acque sporche…». Inoltre, era vietato tenere negli abitati «…mandrie, e greggi di animali vaccini, ovini e suini, od anche semplicemente stalle per detti animali…».

In caso di epidemie, il sindaco del comune poteva provvedere al «…ristauro, ripulimento, ed imbiancamento, o coloramento di tutte le mura esterne delle case dell’abitato…». Si stabiliva, inoltre, che gli orinatoi pubblici fossero lavati tutti i giorni con acqua e una volta alla settimana con una soluzione di solfato di ferro. Ed ancora, il pane, che doveva essere “cotto a dovere” e “ben fermentato”, non poteva essere venduto se “malcotto” o “muffito”. (Regolamento di Igiene Pubblica di Vitulaccio del 1869, in ASCe, Prefettura, Affari amministrativi, VI Inv., f. 3648).

Per quanto riguarda le sepolture, veniva disposto che i cadaveri di persone morte per epidemie fossero trasportati direttamente dalla casa al cimitero “senza pompa od accompagnamento”; inoltre, la Commissione Municipale di Sanità poteva decidere di seppellire i suddetti cadaveri in appositi cimiteri, ponendo sopra di loro uno strato di calce viva.

Ricerca a cura di Alessandra Cecere, Maria Di Nuzzo, Giovanni Giudicianni, Marilia Maio, Maria Tommasone, Monica Tortorelli.

Pubblicata sulla Rivista di Terra di Lavoro – Bollettino on-line dell’Archivio di Stato di Caserta – Anno III, n° 1 – Aprile 2008.

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